25 Gennaio 2016
Capi

Abitare la città

Coesione sociale, collaborazione, educazione. Il Sindaco e il Vicario episcopale raccontano Milano ai capi scout. Un confronto utile in vista del nuovo progetto di Zona.

(or use arrow keys to navigate )

Appunti dal dibattito

Si raccolgono alcune domande, a cui poi sindaco e vicario rispondono.

Domanda Federico Caniato: Milano attrae studenti e lavoratori e, allo stesso, molti giovani la­sciano la città. Forse Milano ha bisogno anche di punti fermi, per offrire senso e valori. È una sfida per tutti: bella la dimensione internazionale, il dinamismo, ma sarebbe bello offrire anche conti­nuità di un tessuto sociale.

Domanda Anna Lucchelli: Quali esperienze di speranza e fiducia sul futuro possono vivere gli otto-quindicenni di Milano a Milano?

Domanda don Walter Ricardo Araujo, assistente ecclesiastico del Gruppo Milano 5:< Quali sono le periferie esistenziali di Milano?

PISAPIA. A Federico vorrei dire che i giovani vengono e vanno. So che molti nostri ragazzi vanno all’estero perché hanno possibilità di futuro migliore. Però i dati ci dicono anche che sta succedendo l’inverso. A Milano sono aumentati gli studenti stranieri e uno su quattro rimane a Milano a lavorare e vivere. Che possibilità possiamo dare? Ai ragazzi dico che i problemi ci sono, la crisi è sotto gli occhi di tutti… per questo è fondamentale lavorare, ciascuno secondo i propri valori e le proprie capacità, in un contesto complessivo favorevole. A Milano abbiamo creato luoghi di coworking, di condivisione e per start app. Teniamo presente che la situazione dei bilanci comunali è tremenda. Chi ha il dovere di decidere come utilizzare le risorse deve indirizzare la scelta verso i più deboli e per dare possibilità ai singoli di inventare sviluppo. La speranza è quella di arrivare a una situazione in cui non dovremo più centellinare i contributi.
Sulla domanda delle periferie esistenziali… per me è la solitudine, perché Milano è una città vecchia (esempio e dati ambrogino ai centenari). La solitudine di tante persone, soprattuttop anziane, che non trovano un rapporto di condivisione e dunque non escono di casa. Basta poco. Ogni giorno distribuiamo 94 mila pasti al giorno fra scuole e persone non autosufficienti a cui portiamo il pasto a casa. Mi dicono che molti di questi hanno paura ad aprire. Su questo tema l’Agesci può fare molto: attenzione, solidarietà e dare possibilità di interlocutori, amicizie e luoghi in cui ritrovarsi, stare insieme e divertirsi. Tanti posti del genere darebbero respiro alla città.

FACCENDINI. Capisco che è un lavoro da fare, quello di fare in modo che i giovani restino, studino, lavorino, contribuiscano a tenere alta la qualità della vita qui. Non è una cosa semplice. Ricordo, da parroco, molti mi che mi raccontavano la fatica a impostare un progetto di vita perché mancavano le basi. Ci sono condizioni più difficili.

Per quanto riguarda le periferie esistenziali, concordo con il sindaco. A Milano il problema vero è la solitudine. Ricordo le benedizioni di Natale: mi attanagliava il cuore, delle sere non riuscivo a mangiare. In viale Monte Nero ho visto tutto: solitudine non conclamate, non da servizi sociali, solitudini sole, senza clamore. Anziani, qualche mamma sola, ammalati.. e non sempre queste solitudini coincidono con la povertà. Spesso la gente vive poi con la paura. Tre, quattro serrature, cani da guardia… e poi la voglia di parlare… con il sospetto anche su noi preti, la gente non si fida più… Uno dei miei impegni è stato far girare la gente (parrocchiani) nelle case e, adagio adagio, è nata una piccola rete di solidarietà da parte della comunità cristiana.

Per i ragazzi: ho imparato che i ragazzi si educano facendo vivere loro esperienze belle, in cui ci sono adulti che li accompagnano e ragazzi come loro che le condividono, In contesti di cammino, di gioco, di incontro, di gara… Contesti come lo sport, scuola, oratorio feriale ridanno speranza: li avviene integrazione al di là dei pregiudizi. Così si spalanca il futuro. Se riusciamo a fare in modo che i ragazzi abbiano una memoria buona della loro infanzia, nel futuro potranno attraversare esperienze drammatiche, di caduta, di fallimenti ma se ha memoria buona dell’infanzia e della prima giovinezza rinasce, tiene. E supera anche pregiudizi ideologici. Dobbiamo creare memoria buona attraverso esperienze buone. Qui è decisivo che gli adulti si giochino. Queste cose i ragazzi non le dimenticano: chi ha fatto esperienza educativa sa che l’educazione è un percorso carsico. C’è una stagione in cui si ha l’impressione di lavorare in perdita (seconda e terza media… non gliene frega niente) ma non è vero. Quando meno ce l’aspettiamo il lavoro educativo produce frutto, l’amore resta. Lo sapete meglio di me, ma è importante che qualcuno lo ridica, per sostenere il lavoro e la passione. Il lavoro educativo, come l’amore, non va perduto. Nei momenti di scelta ci sia appoggia alla stagione bella della vita, a quello che si ha ricevuto.. e non valgono i discorsi ma le persone e le esperienze.

Domanda Anna Scavuzzo: Vorrei riprendere le parole del Consiglio episcopale milanese, che rimettono al centro della riflessione la cittadinanza attiva come uno dei tratti distintivi dei cristiani. Come ci possiamo misurare su questo tema?

Domanda Giovanni Massone: Uno dei fondamenti dello scautismo è far vivere esperienze di libertà ai ragazzi. Quali spazi di miglioramento ci possono essere per far si che l’esperienza di libertà, nei boschi come in città, sia efficace? Immagino negli spostamenti, nei luoghi di decisione, negli spazi aperti…

PISAPIA. parto da Giovanni, luoghi di libertà, bisogna capirsi su quello che si intende. Libertà dello spinello? Non credo… Ecco, se parliamo di luoghi, autonomia, di autogestione, di spazi per fare cose positive, per diventare cittadini attivi e occuparsi di cose di quartiere, di educazione, è un tema interessantissimo.

Sono spazi di libertà e, allo stesso tempo, di comunità: nel momento in cui si riesce ad allargare, si trovano amicizie, nei momenti di sconforto trova chi ti tira su, in quelli di gioia si condivide la gioia. Penso si possa fare e si sta già facendo, pur con difetti e difficoltà. Faccio due esempi. A Milano negli ultimi tre anni circa 150–160 spazi abbandonati sono stati assegnati attraverso bando e con­venzioni su progetti di socialità e dunque libertà. L’altro esempio: come città metropolitana, partendo da un discorso di spending review, abbiamo fatto un accordo per utilizzare gli spazi delle scuole da parte di associazioni gratuitamente, pagando solo il riscaldamento.

Rispondo ora sull’invito alla partecipazione lanciato dal consiglio episcopale. Premetto che l’ho letto solo dai giornali e mi piacerebbe leggerlo tutto. L’ho trovato bellissimo. Politica, al di là della disi­stima creata da pochi politici, la disistima, la mancanza di fiducia che deriva da una minoranza.. La politica è passione, impegno, capacità di mettersi a disposizione per il bene comune. Tanti giovani vedono così la politica. Lo dico sempre e l’ho fatto: non si può fare politica professionale, altrimenti si perdono i contatti con la realtà. E i piccoli privilegi della politica, se non ci rinunci, diventano (sembrano) indispensabili per la vita. Dobbiamo far capire che la partecipazione politica, che non è partitica, può essere svolta in tanti modi ma è veramente importante, può restituire dignità alla politica e io dico che è volontariato, perché chi fa politica è prendersi cura della polis, del bene di tutti. I più giovani devono spiegarlo. Conosco tanti che lo fanno accanto al loro lavoro, non dormendo la notte, come sacrificio, ma è una grande cosa quando vedi il risultato, anche se spesso non si vede.

L’idea che ci fosse un partito della DC [Democrazia Cristiana (N.d.R.)] era lontano, l’opposto dell’invito che viene fatto in questo momento. L’idea che ci sia un partito politico che si caratterizzi a livello di nome, nel cristianesimo o in qualsiasi religione è un’assurdità. Anche perché si è dimostrato che quei pochi, non pochissimi, politici che prendono le mazzette e così via riescono a creare diffidenza rispetto alla religione, che è tutta un’altra cosa.

Io che dico che bisogna rafforzare il dialogo interreligioso il cito spesso madre Teresa di Calcutta quando diceva: «Amo tutte le religione, ma sono innamorata di una religione sola»… Ecco, negli incontri che abbiamo fatto insieme Scola dice sempre che ci sono i credenti, i credenti di altre reli­gioni, i non credenti e quelli che credono di essere non credenti… e mi guarda…

Mettere nel nome del partito una religione è sbagliato. L’impegno invece dei singoli credenti è im­portante, dà qualcosa in più come partecipazione e sensibilità diverse.

FACCENDINI. inizio a rispondere ad Anna. Abbiamo scritto un documento come CEM, come Consiglio episcopale milanese, anni fa c’era la convinzione che la partecipazione politica era dovere del cristiano. In casa mia, mi ricordo a tavola le grandi litigate, c’erano tutte le rappresen­tanze politiche e la mamma faceva da paciere. C’era questa passione, che ereditavamo da una storia. Ora molto meno. Ma mi pare che il venir meno del partecipare sia generale, non solo cattoli­co. Ad esempio anche nel mondo della scuola… siamo ridotti a una antonimia della partecipazione degli anni passati. Abbiamo scritto un testo che è per tutti, non solo per i cristiani ma anche a chi ha numeri, preparazione, competenza per un impegno politico diretto. La tradizione invece ci con­segna il valore e l’importanza dell’impegno politico, della partecipazione, della scelta e del giocarsi in prima persona. Dobbiamo risvegliare un po’ i cristiani. È cresciuta la critica ma è diminuita la partecipazione, la condivisione. Sarebbe bello indagare il perché questo è successo: non si può dare la colpa solo alla politica, sarebbe troppi sbrigativo, dobbiamo interrogarci anche noi.

Rispondo ora a Giovanni sul proporre esperienze di libertà: parlo della realtà degli oratori, vedo una fatica ma anche tanta voglia e passione di progettare, provare. Dai giovani preti raccolgo fatica, sconfitte, ma anche passione e intelligenza, desiderio di aprire spazi e cogliere condizioni culturali nuove. Penso che un lavoro sia in atto, l’educazione non può prescindere da questi orizzonti di liber­tà. Ma non sono in grado di dare risposta più dettagliata.