Grazie per questo incontro, un «grazie» che si rafforza dalle parole che ho sentito. Io ho vissuto lo scutismo in maniera diversa. Una volta non c’erano gruppi misti, c’erano le guide e gli scout. Eravamo autoreferenziali, non avevamo un rapporto con il territorio. Parlo della mia esperienza, nel Milano 4. Il livello di educazione, partecipazione, attivismo e principi, che sicuramente entravano nello spirito e nella pratica di essere scout, era limitato a chi era all’interno di un gruppo, di un contesto complessivo che si poteva allargare ai familiari, agli amici più stretti ma non c’era un lavoro sul territorio, una passione sul territorio. Quindi le vostre parole e l’idea di questo incontro è molto importante perché mi fa comprendere… Chiaramente so che lo scautismo è cambiato, ho amici, figli di amici, mia nipote che è stata scout fino a due anni fa, so che c’è stata una evoluzione. Avrò molto da imparare da questo confronto, oltre che dirvi alcune riflessioni.
Parto da due cose che mi hanno molto colpito. Avevo scritto questa cosa: “Non parliamo di società civile ma di cittadinanza attiva”, che anche qualcuno di voi ha ripetuto. Questo è il salto di qualità che serve alla città, non essere più solo coloro che danno l’esempio o quella società civile di chi dall’alto dà indicazioni, giudizi, ma si fa protagonista del fare qualcosa in cui crede, del progetto in cui vuole impegnarsi perché sa che può portare cambiamento. Potremmo dire: non parole ma fatti.
Ma quali fatti? Non solo educazione all’interno di un contesto, che una volta era molto protetto, era antagonista solo rispetto agli altri gruppi scout ed era soprattutto aperto a mondi diversi ma che non erano aperti al territorio e alle problematiche del territorio, in questo caso la città. Credo che questo sia un elemento fondamentale per dire poi quanto può essere importante l’impegno scoutistico per la città, con valori, capacità di educare e di essere educati, conoscendo e confrontandosi quotidianamente con realtà completamente diverse.
Immaginavo che ci fosse una minore presenza scout nelle zone periferiche, proprio per la storia dello scautismo a Milano. Si legge sui giornali che bisogna fare di più per le periferie. Voglio però anche subito dire che Milano ha le periferie più belle d’Italia e d’Europa. Il che non significa negare le criticità, ci sono periferie devastate e devastanti, anche per chi ha la responsabilità di far vivere le periferie e creare coesione sociale. Io sono stato a Berlino, venerdì, su invito del governo tedesco, davanti a una platea di 1.000 persone con ruoli istituzionali nelle ONG [organizzazioni non governative (N.d.R)] e nell’associazionismo, a fare una relazione sul rapporto tra città e campagna, sulla capacità della città di essere inclusiva e su alcuni temi che Milano ha affrontato, come la lotta agli sprechi alimentari su cui abbiamo raggruppato in un impegno 122 sindaci di tutto il mondo, da New York a Mosca, da Rio de Janeiro a Londra. I sindaci rappresentano 450 milioni di persone, abbiamo sindaci cinesi che hanno aderito al patto, Milano con la città metropolitana ha 3,2 milioni di abitanti, da sola 1,3 milione.
Il fatto che sia stata richiesta la presenza del sindaco di Milano è perché, mi hanno spiegato, vedevano in Milano una città che in questi anni ha fatto un passo in avanti nella cittadinanza attiva e nell’orgoglio che i milanesi. Dopo il mio ci sono poi stati venti interventi: Milano è stata citata come esempio di come si possono fare passi avanti. Ero addirittura imbarazzato. Dicevano: «Il sindaco Pisapia ha fatto» ed io intervenivo: «No. Abbiamo fatto». In ogni caso è assolutamente fondamentale essere presenti in tutta la città.
Quali sono le questioni e i temi che oggi possono rientrare in un progetto bello come il vostro? Essere protagonisti del cambiamento, non essere solo o critici o adesivi al cambiamento. Credo che siano vari i temi. Voi sapete che Milano ha cercato di dare degli esempi. Io sono convinto che il primo elemento dell’educazione sia l’esempio. Le parole non bastano. Se uno non dà l’esempio di vivere concretamente quello che vuole fare.. bisogna dare l’esempio rispetto ai principi e ai valori in cui crede. Ecco perché una delle prime scelte che abbiamo voluto fare, come amministrazione, è dare un esempio di sobrietà, eliminare qualsiasi privilegio. Da non dare i 120 biglietti della Prima della Scala che il Comune dava sempre alle stesse persone. Noi abbiamo deciso di metterli in vendita e utilizzare i proventi della vendita per finalità sociali, con precise indicazioni: carcere, ong internazionali, temi sociali. Ogni anno dividiamo i proventi, 200.000 euro per far si che possa crescere, o non morire in una situazione di difficoltà, un progetto importante per la città.
Il secondo dato è che la città ha creduto moltissimo, in questi anni, nel dialogo interreligioso e interculturale. E questo significa quella capacità di abitare la città di cui avete parlato voi. Mi ricorda un’assemblea, Abitare la città alla parrocchia di Baggio e un’altra alla Bovisa. L’importante è far vedere che si partecipa ai problemi ma anche alla risoluzione dei problemi. Il sindaco non può far tutto ma l’amministrazione può fare tante cose. L’importante è far vedere che si è presenti e che non si hanno steccati di nessun tipo.
Voglio partire da un esempio che dimostra che non avere steccati aiuta ad andare avanti e fa bene a tutti. Io mai avrei pensato di andare a una sfilata di moda. Me ne sono sorbite tantissime, in questo periodo. Però andando ho capito che questo poteva rendere la città più ricca, attrattiva, creare posti i lavoro, e che la bellezza della moda, come la Prima della Scala, non doveva restare riservata solo ad alcuni, perché questo è divisivo.
Non a caso la Prima della Scala viene diffusa in tutta la città: ospedali, carceri e nei teatri delle periferie. E io mi ricordo che il primo anno c’era un’opera di quattro ore e mezza e non essendo un grande amante, mi piace molto di più parlare con le persone… gli assessori erano nei vari teatri di periferia e io continuavo a ricevere messaggi: «qua ci stiamo divertendo un sacco, ci sono giovani e anziani che finalmente si parlano, vedono una cosa che mai avrebbero immaginato di vedere».
Ecco, questo è proprio il concetto della cittadinanza attiva, perché queste persone poi negli anni successivi si sono impegnate per essere protagoniste di queste iniziative. La stessa cosa l’abbiamo fatta con le sfilate di moda, per cercare di diffonderle. E poi un altro esempio: ero a un dibattito del Pd e quando mi sono alzato e scusato, perché dovevo andare a inaugurare Via della moda maschile, pensavo di essere sommerso di fischi. Invece sono stato sommerso di applausi, il che vuol dire che questo messaggio, il non avere muri, collaborare con tutti, fare rete e ponti per il bene comune, era arrivato.
Così le iniziative culturali a Milano (Expo in città ha avuto 42.000 eventi con 11 milioni di presenze; i musei gratuiti… se uno va una volta e si appassiona, ci ritorna e si appassiona alla cultura).
Questi esempi ci portano al tema dell’attenzione ai più deboli e della coesione sociale. Il tema del superare le contraddizioni.
Abbiamo le periferie più belle d’Europa perché sono piene di iniziative. Si parla tanto di case popolari ed è giusto che se ne parli e ci siano interventi precisi. A Milano 94.000 case popolari di cui 81.000, dati Prefettura, sono dignitose, alcune ben vivibili, occupate da persone regolari e che pagano regolarmente l’affitto. Poi ci sono 9 mila case popolari che, perché per legge non possono essere usate per metratura, perché sono da sistemare, perché la burocrazia è lunga… La scelta di assegnare a una società del Comune di Milano le case popolari del Comune di Milano (mentre quelle dell’Aler sono della Regione) ha segnato passi avanti notevolissimi, soprattutto nella conoscenza e nei rapporti con quei cittadini che le abitano.
Do dei flash sul tema della solidarietà. Da sindaco sono partito con l’obiettivo delle tre A: volevamo una città aperta, attrattiva, affascinante. Ora siamo alle tre I: inclusiva, internazionale, capace di essere innovativa. Questo è l’obiettivo a cui dobbiamo puntare. E credo che sulla capacità di essere internazionale, direi che è riconosciuto da tutti. Sull’essere una città capace di essere innovativa, ecco le start-up, il coworking, il fare comunità anche quando si lavora. Sulla solidarietà, Milano ha dimostrato nei fatti che davvero è la capitale del volontariato. Con una differenza, che ora il volontariato lavora con l’amministrazione, collabora con l’amministrazione. Abbiamo assistito 86 mila profughi, sono 2.200 i posti che abbiamo trovato per i senza tetto e sono 1900 le persone che sta notte dormono in luoghi protetti. Questo è stato possibile perché si è costruita una rete a cui nei momenti di bisogno, prima che arrivi l’emergenza, possiamo trovarci insieme, capire cosa fare e dare delle risposte e aiuto ai soggetti più deboli.
Diventa fondamentale riuscire a far sì che i propri progetti, e i vostri sono di educazione, protagonismo, partecipazione e coesione sociale, diano un aiuto e far sentire cittadini anche coloro che non si sentono cittadini. I piccoli progetti sono importanti. Se sono in collaborazione, in rete, a livello di conoscenza anche delle buone pratiche, con le altre associazioni, credo che si centuplichino i risultati e si raggiungano maggiormente gli obiettivi.