8 Ottobre 2018
Consiglio di Zona | Primo piano

Successo e fallimento

Primo appuntamento del Consiglio di Zona: ospiti di Cascina Contina per parlare di fallimento e successo. Online la sintesi della chiacchierata con Lino Breda (Comunità di Bose) e le foto della giornata.

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Appunti dal discorso di Lino Breda
monaco della Comunità di Bose

Di solito siamo abituati a dare enfasi al passato, a vedere il futuro come un orizzonte che si appiattisce. C’è uno sbilanciamento fra il peso del passato e l’incertezza del futuro. Bisogna ri-bilanciare. La nostra verità sta nel futuro.

Cos’è il vero successo, che cos’è il vero fallimento?

Vi introduco al tema con una preghiera trovata nel lager di Ravensbrück alla fine della Seconda guerra mondiale, composta da un prigioniero sconociuto:

Signore,
ricordati non solo degli uomini di buona volontà
ma anche di quelli di cattiva volontà.
Non ricordarti
di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto.
Ricordati invece
dei frutti che noi abbiamo portato
grazie al nostro soffrire:
la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio,
la generosità e la grandezza di cuore
che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito.
E quando questi uomini giungeranno al giudizio
fa che tutti questi frutti
che abbiamo fatto nascere
siano il loro perdono!

Servono chiavi di lettura che mettano le mani nelle viscere della realtà per rivoltarla, non per accettarla.
Dal fallimento nasce il successo. I doni che noi abbiamo sono grazie al fallimento. Bisogna sviluppare la capacità visionaria di leggere il presente non in maniera ideologica ma con profonda intelligenza. Uno di questi doni scaturiti dal fallimento è la lealtà, come nella Legge scout. La nostra Legge parla di un successo che non è ordinario, è una legge alternativa.

La Guida e lo Scout sono leali.
La Guida e lo Scout sanno obbedire.

Siamo all’interno di un messaggio alternativo che non ricerca i bagliori del successo, ma di momenti incastonati in piccoli fallimenti consapevoli di un messaggio vincente.

Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi.

2Cor 4, 7

Il tesoro è quello in cui crediamo sono le nostre realtà, le nostre speranze; è il dono delle nostra vita ma all’interno di un involucro fragile ma che è abitato da una Fede, da un amore che è dentro di noi.
Siamo sempre tentati sotto varie forme dall’essere abbagliati, chiediamoci se i nostri occhi vedono bene. Siamo abbagliati da logiche che non sono quelle che Gesù ci ha narrato.
La narrazione della passione di Gesù è una narrazione di fallimento, che cosa ci dice in realtà? Ci parla della capacità di vivere al margine, di stare affianco a dei malfattori, della promessa che «tu oggi sarai con me in Paradiso» (Lc 23, 43).

L’uomo rifiuta la debolezza perché gli fa paura, perché significa non contare nulla. Invece è nella debolezza che si ricrea lo spazio in cui noi ci manifestiamo agli altri. Quando amiamo qualcuno la frase che è al centro dell’amore è: «Tu sei la mia vita»; ti sto dicendo che per me sei necessario, premette la mancanza di qualcosa, è il cuore della debolezza. È quello lo spazio in cui Dio si manifesta ed è stata sempre una parte rigettata, soprattutto dai discepoli. Vedi Pietro come reagisce quando Gesù gli dice che lo verranno a prendere; non accetta che la sua vita sia finita e in quella modalità. La bontà deve andare in scacco ma in quello scacco c’è quel seme di rinnovamento e di successo. Chi idealizza uccide.

La potenza di Dio non è quella che crediamo. Nella situazione delle nostre realtà c’è qualcosa che fiorisce ma ci vogliono occhi pieni di stupore: è la vera realtà.
La potenza di Dio non è quella che noi immaginiamo, è una potenza di Misericordia, di abbassamento della realtà, è potenza di compassione. Ci vuole molta forza per stare vicino a una persona stando in silenzio. La lavanda dei piedi – Gesù che ci guarda dal basso verso l’alto – è una potenza di abbassamento (Gv 13, 2–20; Mc 10, 35-45; Lc 22, 24-27).
Per fare un altro esempio, ai tempi di Paolo e della comunità di Corinto si era insinuata fra la genta una sapienza mondana, quello dell’autosufficienza. Corinto era una comunità ricca di doni buoni, di successo; Paolo, richiamandoli gli dice che era venuto in mezzo a loro non per offrire doni a basso prezzo ma la Parola della croce, la Parola di perdita (1Cor, 1).

Andiamo a cercare i grandi consensi, i grandi posti, i grandi bagliori; noi invece dobbiamo cercare in situazioni di limite le piccole luci per cui vale la pena essere, dove c’è un senso che è per sempre.
La morte di Gesù non ha avuto neanche la gloria del martirio, la morte di uno nudo, fuori della città, nello spazio dei senza Dio.

I nostri limiti sono il nostro tesoro perché ci aprono agli altri. L’accoglienza dell’errore è quello che ci fa aprire agli altri, non è qualcosa da rigettare, è il nostro tesoro. Bisogna capire bene il significato del fallimento, se siamo un pochino attenti alla trama della nostra quotidianità, se siamo oggettivi, se siamo sinceri, cosa molto difficile, perché ci spaventa – la carità si compiace della Verità, – con un cuore buono e perseverante – un cuore buono e bello, – una persona che non abbia accettato l’imbruttimento della realtà e che non smetta di lavorare con bontà e perseveranza e soprattutto ad avere pazienza. Dobbiamo avere un respiro più grande. Ma questo dipende da una qualità soggettiva. La nostra esperienza è impietosa nel mostrarci la nostra natura finita e fragile, abbiamo una tentazione di cadere in ciò che si oppone alla vita fraterna, e tuttavia siamo chiamati a vivere una vita piena. C’è una debolezza che dobbiamo riconoscere e accogliere, noi siamo dei vasi di argilla.

Forza di vicinanza, forza di prossimità. Vivere il fallimento è un’esperienza di forza, è il vero spessore. Si vale se una persona ha spessore, se ha una qualità.

Ci vuole profondità, partendo dalle esperienze negative per capire cosa ha davvero importanza. “Non compio il bene che voglio”. Da una situazione negativa, riuscire ad andare in profondità ed essere capace di instaurare un dialogo alla luce di una verifica, un portare a vero. Essere capaci di leggere i fallimenti come un albeggiare, come una capacità di rivelare piccole luci.

Il fallimento a volte coglie il nostro operare, ma dobbiamo accettare che c’è un’obbedienza alla vita che è più grande di noi. Accettare di essere quello che siamo. Ma si rinasce sempre, convertendo lo sguardo. Fare fiducia che questa profondità farà tornare me un frutto.

Fare fiducia.