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23 Febbraio 2016
Consiglio di Zona

I “nodi” della vita di Zona

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Sintesi dei contributi della sessione per sottozone.

Quali “nodi” della rete esistono e ci sostengono come Gruppi e come capi?
Quali ricchezze, positività, contributi colgo dalla Zona per me e per il mio Gruppo?

  1. La possibilità di offrire a rover e scolte altre esperienze di scautismo rispetto a quelle del proprio Gruppo, anche tramite occasioni di “Erasmus associativo”, rese possibili dal numero di Gruppi con cui si entra in relazione è una premsessa utile premessa per avere uno sguardo su orizzonti più ampi del capo di domani.
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  2. Il supporto da parte della pattuglia “mantenimento e sviluppo” percepito dalla comunità capi come sostegno tangibile sia nelle situazioni di emergenza, sia nella quotidianità.
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  3. La dimensione di spicchio è utile per lavori di approfondimento e condivisione tra comunità capi, vissuti in condizioni di maggiore serenità e respiro.
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  4. La possibilità di tradurre in pratica ipotesi di dialogo, collaborazione, interazione con altri soggetti educativi, altre realtà di volontariato e altre associazioni ecclesiali esistenti sul territorio di Milano.
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  5. Il campo di formazione tirocinanti (CFT) della Zona come esperienza per una più facile e successiva collaborazione tra comunità capi i cui capi godono di una sorta di relazione trasversale (derivante dal momento formativo condiviso), che aiuta a superare i pregiudizi esistenti tra i Gruppi.
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  6. L’esistenza di un’unica Zona cittadina, capace di interloquire a livello istituzionale in ambito sociale, civile ed ecclesiale.
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  7. Il lavoro organizzativo dei quadri al servizio della Zona (es. formazione capi) è un’importante occasione da sfruttare perché le occasioni di incontro in Zona, spesso avvicinate a fatica, sono in realtà motivo di successiva soddisfazione per l’esperienza di servizio vissuta dai singoli capi.
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    La collaborazioni tra Gruppi impostata con carattere di progettualità, al di là dell’urgenza del momento.

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  8. Il consistente numero dei Gruppi in Zona e le diversità tra di loro, sono opportunità di confronto.
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  9. L’alta qualità delle proposte formative di una Zona con una storia importante, da valorizzare.
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  10. La possibilità per i capogruppo di raccogliere informazioni relative alle attenzioni che la Zona rivolge alle Branche.
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  11. L’elasticità della Zona nel raccogliere l’esigenze che si manifestano nel corso dell’anno.
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Quali “legami”, quali “nodi” sono invece da costruire o da rafforzare tra i Gruppi, nel Consiglio di Zona?
Quali “nodi” invece vanno sciolti, quali fatiche ci accompagnano?

  1. Il calendario degli incontri di Branca a livello di Zona, è vissuto dai capi come una sovrastruttura onerosa.
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  2. La Zona talvolta è percepita dai capi come un accessorio faticoso e di dubbia utilità.
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  3. Lo scollamento con gli altri livelli associativi (Regione, livello nazionale) che rende l’idea di un’associazione unitaria di difficile lettura.
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  4. Un Consiglio di Zona dispersivo e che disorienta chi vi si affaccia o è alla prima esperienza.
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  5. La fatica di conoscere tutti in modo non superficiale che deriva dall’alto numero di persone presenti.
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  6. Gli incontri del Consiglio di Zona dedicati spesso all’organizzazione e non alla formazione.
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  7. L’esperienza di spicchio non sempre è risolutiva in termini di esigenze della comunità capi o di appartenenza al territorio.
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  8. La sensazione di difficoltà e fatica legata la fatto che le numerose iniziative proposte comportano la necessità di fare più sintesi per consentire una riflessione serenza sulle esperienze e una loro reale diffusione.
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  9. La dimensione estesa della Zona è un fattore intrinseco di criticità da risolvere.
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  10. Il Consiglio di Zona è esautorato dal Comitato di Zona nelle proprie funzioni essenziali (verifiche e decisioni).
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  11. Esiste un divario tra Comitato di Zona e Consiglio di Zona che rende ancora più difficile il coinvolgimento dei capigruppo in aggiunta alla fatica oggettiva che deriva dalla dimensione della Zona;
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  12. La difficoltà di creare legami più forti tanto quanto necessari tra i Gruppi; in una Zona così vasta è difficile percepirne il senso di appartenenza.
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  13. La scarsa partecipazione agli incontri del Consiglio di Zona è il segnale di un Comitato che decide “a monte” per poi indicare la strada al Consiglio di Zona quando, invece, dovrebbe essere il contrario.
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Come rendere il servizio in Zona (in comitato, nella formazione, come responsabili, ecc.), una risposta a una chiamata (vocazione) al servizio?
Quali “resistenze” nel rendersi disponibili a stringere il “nodo” del servizio come quadro?

  1. Potenziare le capacità e le occasioni del capogruppo d’interfacciarsi con le risorse della Zona, aiutandolo a portare la Zona in comunità capi facendo conoscere ai capi i compiti e le esigenze della Zona.
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  2. Il capo è spesso spremuto dalla propria comunità capi perciò alla fine del percorso non ci sono più forze e disponibilità ad impegnarsi nel servizio di quadro associativo.
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  3. Il fenomeno di turn-over che condiziona la disponibilità dei capi risulta limitare in maniera amplificata anche quella dei quadri.
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  4. Formare il capogruppo alla partecipazione attiva, superando l’immagine diffusa di un impegno assunto per senso del dovere, come come figura chiave di lettura e d’interpretazione delle dinamiche di Zona per i capi della propria comunità capi.
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  5. Per generare quadri è necessario superare il limite delle tradizioni di Gruppo.
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  6. Il servizio di quadro impegnato in una Zona composta da oltre 30 Gruppi è percepito come un impegno oltremodo faticoso.
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  7. Inserire negli strumenti già esistenti, come il progetto del capo e il progetto educativo, l’indicazione dell’impegno della comunità capi e del singolo capo nei confronti della Zona.
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  8. La distanza tra il capo e il quadro è figlia di quella esistente tra il Consiglio di Zona e il Comitato di Zona, non è attrattiva e risulta difficile sentirsi chiamati al servizio di quadro.
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  9. Proporre al capo l’impegno come quadro, prima dell’esaurimento totale delle energie, come ipotesi di alleggerimento dalla vita in unità.
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