Gesù dunque è in ritardo. Gesù è accusato di arrivare troppo tardi: «Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto — dice Marta — ma sei arrivato tardi, ormai il tuo amico è morto e sepolto». I Giudei dicono: «Lui ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che questo suo amico non morisse?». Ecco è arrivato tardi, ormai non c’è più niente da fare.
Non è raro che Dio sia accusato di essere in ritardo, di non essere presente là dove ci si immagina che sia più necessaria la sua presenza. Non è raro che i devoti e i credenti si aspettino un soccorso, una protezione, si aspettino l’esito felice delle loro iniziative e poi protestino: «Ma dove sei stato Signore? Ti aspettavo e non sei venuto. Ecco, ormai la situazione è irrimediabile»; [e] così talvolta anche i devoti, anche noi credenti, anche noi quando siamo messi particolarmente a dura prova dalla morte di una persona giovane, da un amico che attraversa una prova troppo dura.
E voi, anche se siete giovani, già sapete lo strazio di queste separazioni e la protesta contro Dio che è arrivato in ritardo. I devoti sono messi talvolta alla prova e i tribolati: se pregano, si aspettano che la tribolazione finisca, la tempesta si calmi, il problema si risolva e la malattia guarisca. Perciò protestano: «Dove sei stato, Signore? Ti aspettavo. Mi aspettavo che tu mi curassi. Ecco, ormai non c’è più niente da fare, la situazione è irrimediabile». Ecco, questo cumulo di aspettative deluse, di vicende che scivolano inevitabilmente verso il peggio, di speranze mortificate, tutto questo mi sembra che possa creare una mentalità che si può descrivere come segnata dalla filosofia dell’ormai. L’irrimediabile è ciò che condiziona, ormai, la vita personale, la vita delle istituzioni. Gli stili del mondo comportano, talvolta, questa sconsolata constatazione che va a costruire questo sistema filosofico dell’ormai. Quando la nostalgia è il criterio di lettura della storia si dice: «Eh, una volta si che eravamo tanti, che eravamo bravi, che c’era entusiasmo… ma adesso, ormai, il fuoco si è spento». Questo vale anche per le vicende personali: siamo partiti pieni di entusiasmo, magari anche di assumere un incarico educativo come quello di capi scout, o come quello di consacrarci al Signore, siamo partiti con delle aspettative di compiere imprese straordinarie, di riuscire bene in quello che costituiva il nostro impegno e poi forse l’entusiasmo si è spento. Uno si lascia andare e dice: «Ormai», «Ormai le cose vanno così, le mie capacità si sono rivelate inadeguate» e così vale per le istituzioni, per la Chiesa.
La Chiesa una volta era un luogo di attrazione per tutta la società, era una presenza incisiva, suscitava l’entusiasmo dei giovani; adesso mi sembra di respirare una dispersione. Ormai la Chiesa è condannata al declino in questo occidente in cui prevalgono lo scetticismo e la rassegnazione, ormai… Questo forse lo si può dire anche per le vicende del proprio gruppo, dell’Agesci e tante altre realtà. Mi vien da dire: «Ecco, una volta erano veramente un luogo di formazione cristiana». Talvolta si dice: «Ma adesso, in questo gruppo, ormai, si è perso l’entusiasmo per le scelte qualificanti». Ormai… Ecco la filosofia dell’ormai. Sembra segnare e insidiare il nostro modo di affrontare la vita.
Ma in questo contesto, in questa desolazione di fronte all’irrimediabile, il Vangelo dice che Gesù continua a visitare Betania. Pur in mezzo alla disapprovazione generale, perché, come avete sentito, i suoi discepoli lo disapprovano e gli dicono: «Ma cosa ti viene in mente di tornare in Giudea dove la tua vita è già stata minacciata?»; lo disapprovano le sorelle di Lazzaro che dicono: «Ma ormai cosa vieni a fare? Potevi venire prima»; lo disapprovano i giudei che dicono: «Lui ha guarito il cieco, perché non ha guarito il suo amico?». Quindi ecco, Gesù arriva a Betania circondato da questa disapprovazione; però in questo brano del Vangelo, come in tutta la testimonianza evangelica, noi possiamo riconoscere che Gesù contesta la filosofia dell’ormai. Gesù dice che non è così, e a me pare che questa contestazione della rassegnazione abbia tanti aspetti.
Io credo che la Pasqua che stiamo per celebrare, e alla quale ci prepariamo, ci dice qualcosa di questa testimonianza sulla parola e l’azione di Gesù che scuote tutte queste filosofie della rassegnazione.
Di questa pagina del Vangelo vorrei raccogliere soltanto due spunti che sembrano particolarmente importanti per noi oggi.
Gesù contesta la filosofia dell’ormai, l’attitudine di additare Dio accusandolo di essere in ritardo. Egli si fa presente non solo come l’amico che viene a offrire una patetica consolazione, per dire: «Ecco, sono qui anche io a piangere con voi», Gesù viene come il Figlio di Dio. Gesù entra in questa storia di desolazione e questo avviene perché il Figlio dell’Uomo sia glorificato, perché in Lui si riveli come è fatto Dio. Ecco com’è Dio: è questo Gesù. Una storia fatta di carne e di cuore, un orrore per la morte, un rifiuto per ciò che sottrae le persone amate ai loro affetti. Ecco come si presenta Dio, il Figlio di Dio, come la presenza amica che sta vicino nella tribolazione di coloro che ama. Questa presenza concreta che sembra inerme, che sembra impotente, che sembra in ritardo, che sembra inutile, invece è proprio così che si introduce Dio nella nostra storia: Dio è questa presenza.
Ci credi tu? Sei disponibile a cambiare i tuoi pregiudizi su Dio? Pregiudizi che inducono ad immaginare una sorta di potenza magica, tanto che ci si aspetta che la sua gloria sia una specie di colpo di bacchetta magica che risolve tutti i problemi? No, Dio non è così. Dio si presenta come l’amico che si commuove, come l’uomo che prova orrore per la morte, come colui che, nella semplicità di una casa, ricorda la potenza e la premura di Dio.
«Io lo so che Tu mi ascolti ma l’ho detto per quelli che sono qui, perché capiscano come Tu sei presente nella storia, Padre».
Questo è il primo aspetto, il primo modo con cui Gesù contesta la filosofia dell’ormai, abituandoci, invitandoci a cambiare il nostro modo di vedere Dio.
La seconda traccia che questa pagina ci offre per vedere come Gesù contesta la filosofia dell’ormai è questa forza con cui Lui pone rimedio all’irrimediabile.
Ecco, questa pietra che ormai sequestra l’amico Lazzaro, seppellendolo nella morte, dev’essere tolta via e al morto viene rivolta la Parola che lo risveglia alla vita. L’irrimediabile trova rimedio. Ecco la potenza di Dio che noi vogliamo celebrare e questo avviene nella nostra vita personale. In questo tempo, io mi immagino, ci stiamo preparando alla confessione pasquale, momento in cui chiediamo perdono dei nostri peccati; alcuni si confessano, ma sono come sotto questa filosofia dell’ormai. Confessano i loro peccati già con la rassegnazione di chi dice: «Ma sì, tanto poi si ripeteranno, il passato mi imprigiona, le abitudini cattive mi rendono schiavo». Ecco, Gesù invece è capace di perdonare e il perdono di Dio è questa straordinaria potenza di Dio che addirittura è capace di rimediare all’irrimediabile, cioè di prendere il nostro passato — «Ecco quel che è stato è stato, ormai è così!» — e dire: «No! Anche questo peccato, anche questo passato può custodire un principio di rinnovamento: io ti perdono».
Ciò vuol dire tu non sei imprigionato nel tuo passato, sei rinnovato nella vita nuova; questo vale anche per i rapporti tra le persone. Talvolta succede che un marito e una moglie litigano e arrivano a una situazione in cui dicono: «Ecco, ormai non c’è più niente da fare, ormai non c’è più una ragione per stare insieme». Lo stesso può succedere dentro una storia di amicizia, dentro una vicenda di gruppo: può accadere che si creino delle fratture tali per cui si dice: «Ormai… non andiamo più d’accordo, non riusciamo più a intenderci».
Ecco, la potenza di Dio è quella che dice che è possibile anche una riconciliazione, è possibile anche un perdono vicendevole, è possibile anche che da una rottura possa nascere un amore più puro. Non dire «Ormai…», piuttosto credi che Gesù è presente e pone rimedio all’irrimediabile, se ti fidi di Lui.
Questo vale anche per le istituzioni, vale anche per la Chiesa. Alcuni hanno ormai decretato che la Chiesta in occidente sia condannata a un inarrestabile declino. Noi che conosciamo un po’ la storia, sappiamo che ci sono state epoche molto diverse e perciò sappiamo che Dio continua ad operare: da un periodo di fatica e di decadenza possono fiorire santità e rinnovamento in una maniera stupefacente.
Ecco, voi che state camminando in questa strada, non guardate mai a ciò che amate, alla Chiesa, all’Agesci, ai movimenti a cui appartenete, con quella rassegnazione di chi dice «Ormai…», piuttosto siate protagonisti di quella fiducia in Dio che permette di scrivere pagine di speranza.
Ecco come Gesù contesta la filosofia dell’ormai: con questa presenza amica e fedele e con quell’invito a credere che per Lui l’irrimediabile può essere rimediato.
E a noi che cosa chiede? Cosa faremo noi? — mi pare che in questa pagine del Vangelo ci viene posta la domanda decisiva: «Ma tu ci credi?». A noi è chiesto solo di credere, di avere una fiducia nel Signore che sia più grande delle nostre previsioni e dei nostri pregiudizi; a noi è chiesto solo questo, di fidarci di Gesù al punto di essere disponibili a credere che l’ormai non è la nostra filosofia: noi infatti siamo il popolo della Speranza.