In Albania tra grattacieli e catapecchie

Nel caldo agosto del 2017 l’impavido Clan delle orme intraprende una avventura un po’ diversa dal solito: invece che partire per la solita route di cammino, armati di zaino e scarponi, ci prepariamo per andare all’aeroporto di Bologna, dal quale raggiungeremo Tirana e successivamente Scutari, in Albania. Qui animeremo dei campi estivi ed assisteremo a diverse testimonianze, con l’obiettivo di comprendere la situazione albanese in prima persona.

Una delle prime cose che ci colpisce non appena atterrati, e che troverà poi diverse conferme durante la nostra permanenza, è la contraddizione che caratterizza l’Albania. Una contraddizione che si vede già a livello urbanistico: catapecchie e case fatte di stracci non tanto lontane da palazzi alti e pretenziosi, che spesso però sono vuoti perché è solo l’apparenza che conta. Questa stessa contraddittorietà si riflette anche sulle persone e sui loro comportamenti: anche se i soldi per i beni primari scarseggiano, si investe in grandi macchine e vestiti firmati.

Durante le testimonianze ci viene raccontato che queste contraddizioni possono essere giustificate dal lungo regime comunista albanese: la necessità di apparire ricchi è una rivendicazione del diritto alla proprietà privata che per tanti decenni è stato negato a questo popolo. L’Albania infatti è stata il teatro di un lunghissimo (1946- 1991) e duro regime comunista, del quale ancora oggi è difficile parlare. Una delle peculiarità del regime albanese è stata l’ateismo di stato per costituzione, che ha provocato come reazione un grandissimo esempio di ecumenismo dal quale abbiamo molto da imparare. L’avere un oppressore comune, il regime dittatoriale comunista, ha permesso alle diverse culture religiose albanesi di superare le differenze e creare un rapporto di grande rispetto, comprensione e aiuto reciproco ancora oggi molto forte. Abbiamo avuto la fortuna di parlare in prima persona con esponenti di queste realtà e di visitare sinagoghe, chiese cattoliche e chiese ortodosse.

Ma forse le testimonianze che ci rimarranno più impresse non sono quelle “ufficiali”, ricche di grandi esempi di coraggio, ma quelle indirette, quelle testimonianze che vengono raccontate quasi per caso, con semplicità e umanità. Come quelle dei bambini, che non sono coscienti di trasmetterti una testimonianza mentre giocando con te ti vogliono raccontare cosa hanno fatto il giorno precedente e cosa succede in casa loro. Ed ancora la testimonianza di padre Angelo, un padre pugliese che si è trasferito in Albania da diversi anni e gestisce una scuola e dei campi solari. Ogni giorno padre Angelo con il suo pulmino fa il giro del poverissimo paesino di Beltoje per portare i bambini nella struttura che gestisce, ed intanto si prende cura della comunità e racconta le storie di queste persone. Una fra tutte la storia di Matilda, una bambina che da poco ha visto la sorella maggiore essere data in sposa in cambio di un telefono cellulare, e crede che sia normale tutto ciò.

Matilde Baroni  – Clan delle Orme, Imola 1

No Replies to "In Albania tra grattacieli e catapecchie"