Nella tradizione cristiana si è iniziato a venerare San Giuseppe già nel medioevo, divenendo patrono di molti paesi come, dalle nostre parti, Tor Lupara di Fonte Nuova.
La data del 19 marzo, come spesso accade a molte festività cristiane, era già un giorno di festa in epoca pagana relativa all’avvento della primavera. Tant’è che ancora oggi la Festa di San Giuseppe viene integrata con dei grandi falò che illuminano le serate.
In pratica in questo giorno spesso si uniscono la spiritualità cristiana e festeggiamenti antichissimi: si tratta di una data ammantata di spiritualità fin dalla notte dei tempi: ecco perché la CEI nel 2020, in piena emergenza coronavirus, l’ha scelta per il rosario collettivo in favore dell’Italia.
Oltre alla sfera spirituale la festa di San Giuseppe, in particolare in Italia, ha una grande tradizione culinaria.
In finale qui da noi cucina e tradizioni religiose sono sempre state a stretto contatto.
La vera star sulle tavole in questa giornata è senza ombra di dubbio la zeppola di San Giuseppe.
E proprio perché, come abbiamo scritto prima, tradizione pagana e cattolica si legano in questa data, abbiamo due differenti storie che ci narrano l’origine del dolce. La prima, più antica afferma che il 19 marzo venivano fritti, con l’olio e lo strutto, alcuni impasti per festeggiare l’arrivo della primavera durante le celebrazioni delle Liberalia. La seconda, più “recente”, afferma che le zeppole siano state “inventate” a Napoli, presso il convento di San Gregorio Armeno, al convento delle suore.
La prima fonte scritta che abbiamo sulle zeppole è di Goethe che, alla fine del XVIII secolo si trovava in visita nel capoluogo partenopeo: nella sua opera “Viaggio in Italia” afferma: “Oggi era anche la festa di S. Giuseppe, patrono di tutti i frittaroli cioè venditori di pasta fritta[…]Sulle soglie delle case, grandi padelle erano poste sui focolari improvvisati. Un garzone lavorava la pasta, un altro la manipolava e ne faceva ciambelle che gettava nell’olio bollente, un terzo, vicino alla padella, ritraeva con un piccolo spiedo, le ciambelle che man mano erano cotte e, con un altro spiedo, le passava a un quarto garzone che le offriva ai passanti[…]” .
La prima ricetta scritta delle zeppole è del 1837, riportata da Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, famoso nel Regno delle Due Sicilie come gastronomo e autore di un libro di cucina che sarà ristampato per ben 30 anni: “Cucina teorico-pratica”. Ecco il testo dell’autore partenopeo: “Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza caraffa d’acqua fresca, e nu bicchiere de vino janco, e quando vide ch’accomenz’a fa lle campanelle, e sta p’ascì a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempre co lo laniaturo; e quanno la pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta e la lieve mettennola ‘ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che la puo’ manià, la mine co lle mmane per farla schianà si per caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanelli come sono li zeppole, e le friarraje, o co l’uoglio, o co la nzogna”.
Insomma in questa giornata di quarantena cerchiamo di unire, come è tradizione, il gusto della fede a quella della buona tavola.
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