Sono appena tornata a casa da questa mattinata in giro per il paese, lascio fuori le scarpe e vado subito a disinfettare la mia mascherina con la soluzione alcolica. Sono stata davvero fortunata, oggi c’è un bel sole caldo e con l’uniforme completa di maglione è stato quasi come fare la sauna.
Per questa prima settimana di servizio la Protezione Civile ci ha affidato la consegna dei libri di scuola, alle 9 sono nell’atrio della scuola, mi divido libri e indirizzi con Francesca e poi ognuna per la sua strada, porta a porta.
Suonare il campanello a casa di una famiglia, in questi giorni, è veramente un evento strano sia per me, che sono nascosta dietro i miei occhiali e la mascherina, ma soprattutto per chi apre la porta. La maggior parte delle volte è un adulto, un babbo o una mamma che si stropicciano gli occhi mentre si orientano alle prime luci dell’alba – d’altronde le 10.30 di mattina oggi sono un po’ come le 7.30 di una volta – e mentre spiego che sono una capo scout e che “Ho i libri che Alice/Semir/Yi aveva lasciato a scuola” sbucano dalle finestre altri occhi curiosi.
È un tempo strano per suonare un campanello, è quasi un evento, allora a quel punto scappa fuori dalla porta un bambino che con un gran sorriso si avvicina per prendere una consegna così speciale, tutta per sé. Non pensavo che si potesse essere tanto felici di ricevere i compiti a domicilio, ma è chiaro che questo isolamento ci abbia in un certo senso spostati, dalle nostre abitudini e dalle nostre opinioni, quello che prima era noioso o solo una scocciatura oggi diventa un’occasione di incontro e questo scuote un po’ tutti, nessuna età esclusa.
Fin da subito come comunità capi volevamo essere d’aiuto dove e come possibile. Dopo un tempo organizzativo e burocratico che scorreva in slow motion abbiamo finalmente ricevuto la nostra formazione e il primo incarico da parte del Sindaco e della Protezione Civile: “Abbiamo bisogno di voi per una cosa che fa sicuramente al caso vostro! I bimbi delle elementari hanno lasciato i libri a scuola, bisogna riportarglieli, poi voi ne conoscete anche un sacco”.
Subito sembrava una cosa più tranquilla della spesa: meno contatto col cibo o con anziani che sono soggetti a rischio, ma di tranquillità ce n’è ben poca anche in un compito come questo. Aleggia sempre la tensione, di non stare abbastanza a distanza, di tenere la mascherina come si deve e mantenere le mani pulite, e ovviamente una volta tornata a casa c’è da fare attenzione a mille altre cose.
La tensione però svanisce in fretta e lascia spazio alla sensazione di aver fatto qualcosa di buono per le persone incontrate oggi, qualcosa di utile e non solo in termini “pratici” di consegna, ma per le piccole occasioni di incontro create. Un sorriso o uno sguardo amico oggi possono alleviare il peso che questo isolamento ci ha caricato sulle spalle, un isolamento che ci spinge a essere più vicini, più solidali e nelle forme più disparate possibili.
Stamani ho avuto bisogno di qualche indicazione perché alcuni indirizzi non corrispondevano all’abitazione attuale, così ho chiesto ai vicini che erano in terrazza, a chi era affacciato alla finestra e grazie a loro ho potuto trovare diverse famiglie; è un tempo strano e tutti vogliono aiutare, contribuire facendo la loro parte.
Dopo aver suonato il campanello appoggio i libri e mi riporto a distanza, ci scambiamo un saluto e viene naturale dirsi due parole a vicenda per farsi forza, una famiglia mentre mi allontano mi saluta con un “Grazie, andrà tutto bene!”. Prego, andrà tutto bene.
Aurora Visani – Riolo Terme 1
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