Il Grido Silenzioso 

a cura di Vincenzo Deruvo (educatore, formatore, capo scout e adulto – spero – credibile) 

Quante volte ci rendiamo conto che i nostri ragazzi hanno paura di chiedere? Quante volte un problema sembra insormontabile e piuttosto che chiedere un aiuto si rifugiano in loro stessi?
Rinuncio piuttosto che chiedere.
Un episodio in Co.Ca ha portato ad una riflessione di Vincenzo su questo tema.

Dal 1998 affianco gli adolescenti nella loro strada verso l’adultità. Non so se in questo tempo sono cambiato io o sono cambiati loro, ma qualcosa è cambiato, o mi sembra che meriti maggiore attenzione. Osservo che dietro le facciate sorridenti e i post scintillanti sui social, i nostri ragazz*, come camaleonti digitali, si mimetizzano in una realtà virtuale, celando un disagio spesso profondo. Il silenzio, un tempo rifugio sicuro o momento di introspezione e creatività, dopo quello che abbiamo passato (la resilienza espressa durante la pandemia) e quello che stiamo affrontando (venti di guerra sempre più vicini), si è trasformato in una prigione, isolandoli sempre più da sé stessi e dagli altri. 

Sempre più attenti a quello che gli altri pensano di loro si sentono giudicati da ogni parte: dai coetanei, dai genitori, da tutti noi; spesso convinti che i loro problemi siano troppo piccoli o troppo grandi per essere condivisi e/o risolti. 

Come scrive Luca Verdi “è come se vivessero in una bolla di sapone, fragile e facilmente incrinabile, un piccolo commento negativo può far scoppiare questa bolla, provocando un profondo senso di solitudine e abbandono.” 

La scuola, lo sport, le uscite con gli amici…tutto può trasformarsi in un terreno di confronto e competizione, per essere al top di un modello proposto e organizzato (spesso) per creare dipendenze, vuoti del cuore da riempire con un bene acquistato (come se fosse possibile). 

In questo contesto, quando gli adolescenti si trovano ad affrontare una situazione difficile, senza un supporto esterno stabile, è naturale che i loro pensieri si complichino. Mancando il confronto con una figura che possa ridimensionare il problema o offrire una prospettiva diversa, rischiano di rimanere intrappolati in una visione distorta del loro disagio. Un piccolo ostacolo o fallimento può diventare una catastrofe. Senza chi li aiuti a contestualizzare le esperienze, la loro percezione tende ad amplificare le emozioni negative (frutto anche di alcuni algoritmi social che puntano proprio su questo per creare la dipendenza). 

Una strada difficile e in salita (per noi adulti)…ma possibile. 

“La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell’autorità, non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori. In una parola sono cattivi”.
Sembra una frase attuale, ma è attribuita a Socrate (dialoghi di Platone, suo allievo), filosofo nato nel 470 avanti Cristo. La lamentela/preoccupazione nei confronti delle nuove generazioni è un fenomeno universale e senza tempo; ci porta a riflettere su quanto le dinamiche tra generazioni siano complesse e si ripetano nel corso della storia e, dall’altro, di quanto impegna noi adulti. 

Noi adulti dobbiamo essere più presenti e disponibili ad ascoltare i ragazz*, sospendendo il giudizio; hanno bisogno di sentire che siamo pronti a momenti di dialogo autentico, dove possono parlare senza timore di essere criticati. Ci devono sentire veri, genuini, integri. 

Dobbiamo saper riconoscere e gestire le nostre emozioni per essere punto di riferimento per le loro; trovare il modo di testimoniare che gli errori fanno parte della crescita e che i fallimenti non definiscono il loro valore. Mostrare come affrontare le difficoltà senza drammatizzarle può aiutarli a ridimensionare i propri problemi e a non considerarli irrisolvibili. 

Essere promotori di ambienti sicuri e accoglienti, dove i ragazzi possano sentirsi liberi di essere se stessi. Le amicizie e i legami tra coetanei rappresentano un supporto importante. Incoraggiare attività che promuovano l’interazione sociale in modo sano e positivo può aiutarli a costruire una rete di sostegno informale. Il silenzio dei nostri ragazz* è un grido d’aiuto che non possiamo ignorare. È fondamentale rompere il muro di solitudine che li circonda, creando un ambiente più umano e comprensivo. Solo così potremo aiutarli a superare le loro paure e a costruire un futuro più sereno. 

Lo so…sto rappresentando un ambiente che sembra proprio la proposta educativa scout pensata dal nostro Baden-Powell. Se siamo in grado di metterla in pratica possiamo dire di essere sulla buona strada

 

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