25 Gennaio 2016
Capi

Abitare la città

Coesione sociale, collaborazione, educazione. Il Sindaco e il Vicario episcopale raccontano Milano ai capi scout. Un confronto utile in vista del nuovo progetto di Zona.

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L’intervento di monsignor Carlo Faccendini
Vicario episcopale per la città di Milano

Vi comunico dei pensieri che come cristiano mi interrogano spesso. Mi chiedo come un cristiano fa il cittadino. Come vive il rapporto con la sua città.
Ho individuato questi tre atteggiamenti che scandiscono lo stile di rapporto e presenza fra il cristiano e la città.

1. Il desiderio e la tensione a conoscere la città. A conoscerla con uno sguardo pieno di simpatia. Il contrario di Giona, il contrario di chi fugge, guarda alla città con sdegno. Dall’altra parte c’è Gerusalemme, luogo del bene. Al contrario Sodoma e Gomorra. Questo sguardo sereno, positivo, pieno di simpatia, come intendeva Paolo VI, che su questi temi ha riflettuto molto: non estraneità, la città è la mia città, mi appartiene, la vivo, io sono la mia città. Questo sguardo evita ai cristiani atteggiamenti di chiusura, resistenza, sdegno, superiorità. Quelli atteggiamenti che poi portano a giudicare, criticare senza amare, o di chi insegna il mestiere ma non accompagna, non condivide. Abbiate disponibilità a conoscere la città, a conoscerla con questo sguardo pieno di simpatia e affetto.

2. Un gruppo cristiano deve porsi a servire della città. Quale servizio chiedere a voi? Non ho dubbi: il primo servizio che dovete offrire alla città è collaborare all’azione educativa. Vi confido che ogni tanto mi viene la tentazione di pensare che abbiamo perso la “battaglia” dell’educazione. Prima di fare il vicario seguivo la pastorale della scuola. Ho girato tante scuole, conosciuto tanti insegnanti. Ho fatto il parroco (ero il “suo” parroco — dice riferendosi al sindaco — ho conosciuto bene la sua mamma), ho accompagnato per anni delle famiglie. E da vicario, a Sesto San Giovanni, ho fatto tutte le cresime, andando a incontrare i ragazzi, le catechiste, i genitori e i padrini. Fra famiglie, insegnanti, preti, educatori, ne ho conosciuti tanti: ho visto una fatica enorme, la voglia di fuggire, di scappare dall’impegno educativo perché è frustrante. Straordinario e frustrante. Quanti mi dicevano: «Potessi cambiare lavoro»… e non erano i peggiori! I peggiori se ne fregano.
Chi soffre davanti alla fatica dell’educazione sono gli educatori migliori. Chiedo a voi di non cedere alla tentazione, di non mollare. Il servizio all’educazione è il servizio più grande che una associazione come la vostra può rendere alla città. Servizio educativo vuol dire anche tenere viva la tensione educativa, il valore dell’educazione, l’aiutare le ragazze e i ragazzi a scoprirsi, a diventare grandi, a scoprire il proprio posto nel mondo: non c’è niente di più bello né affascinante.
Per un prete questa è una grande e esperienza di paternità. Ritrovare da grandi quelli che uno ha avuto da alunni, all’oratorio, … quelli che hanno fatto tribolare di più sono quelli che poi dicono le cose più belle. Mi raccomando, tenete vivo l’impegno educativo, il valore dell’educazione. La nostra città ha bisogno di questo. Contribuirete a plasmare delle belle umanità cristiane. Quella bella umanità che poi è capace di spendersi, di giocarsi, di donarsi, di coinvolgersi, di creare solidarietà, unione, amicizia civica: ve lo chiedo con la disponilità anche a mettersi in rete con altri, l’educazione non si fa in solitaria. Il lavoro educativo va condiviso, discusso, va continuamente rilanciato. Niente si fa in città senza collaborare, tanto meno il lavoro educativo.
3. Amate la vostra città con la gratuità del dono, la passione di chi si gioca, di chi mette la faccia, di chi si spende, e la responsabilità di chi risponde. Non c’è amore senza responsabilità. La responsabilità è di chi risponde. Caino non voleva rispondere di Abele. Io rispondo di, dico di lui perché me lo prendo a cuore. E siccome me lo prendo a cuore sono in grado di dire di lui. E fedeltà: è facile iniziare ma poi è facile smettere, fuggire da ciò che è duro, non clamoroso, non sotto gli occhi dei media, poco gratificante se non da un punto di vista di profonda convinzione. Credo che se impareremo noi cristiani a stare nella città, con questi atteggiamenti, non ho dubbio che collaboriamo a scriverne la storia. Una storia che non è storia cristiana ma storia, dove i cristiani lasciano il segno come il lievito e il sale. Conoscendo un po’ la storia della città di Milano, posso dire che è così. I cristiani hanno contribuito a plasmare la storia, dare forma alla storia della città. Storia che porta i segni del fermento, della passione,dell’amore, dell’impegno, della faccia dei cristiani.