Educare la fede

di Enrico Parazzoli

Quando un’esperienza diventa educativa? Quando è impegnativa e provoca costruttivamente la tua persona perché se non ti chiama in causa, se non ti mette in difficoltà, non è edificante.

Manuale della Branca rover e scolte, 2ª ed., p. 26

Credo che la prima affermazione semplice che dobbiamo fare introducendo un percorso di cui non c’è ancora traccia perché in qualche misura va ancora deciso e condiviso insieme, la prima considerazione che dobbiamo fare è che il percorso per poterlo condividere dev’essere fatto da noi. Perdonate se questa è un’affermazione scautisticamente banale ma nessuno si sognerebbe di fare un’attività dicendo ai ragazzi, di qualsiasi Branca siano, «andate» ma dice «andiamo»; perché io vi garantisco non che è tutto perfetto, non che io sono una capo, un uomo, una donna, una persona, un credente perfetto ma che io sto giocando la mia vita non per gioco ma sul serio su questa cosa che serve a diventare persone autentiche.

Se vogliamo parlare di educazione alla fede, dobbiamo ricordarci che educare le persone – ammesso che sia possibile dicendolo in termini assoluti perché educare non è, appunto, la tecnica o l’intuzione geniale o il fogliotto o chissà che cosa – è sempre avere la percezione che la persona nella sua interezza ha bisogno di camminare, di maturare e di diventare autentica. Rispetto a che cosa? Questa è la domanda seria.

Se noi c’interroghiamo su cosa significhi educare alla fede, significa che abbiamo una percezione della persona che considera come sensato che la persona abbia una dimensione trascendenete, cioè che abbia un’anima; non come un viluppo interiore di pensieri, di cose, di percezioni, di fantasie, ma proprio come un’appello ad una relazione ulteriore rispetto a tutte le relazioni che ha. Questo significa educare alla fede in generale.

In specie, educare alla fede nel senso di camminare nella prospettiva delle fede cristiana, significa ritenere che io posso dare fiducia all’umanità di Gesù, che mi è stata raccontata, perché è, in qualche misura, provocante per me. Attenzione, non ho detto convincente; uno non educa perché è convinto ma perché è provocato, che non è un modo furbo per dire «allora, anche se non ci credi tanto, non importa» ma è un modo per dire: se sei provato allora cammini; se sei provocato allora cerchi; se sei provocato allora ti metti con tutte le forze che hai a fare bene questa cosa perché il tuo servizio sia opportuno. L’arcivescovo la settimana scorsa, parlando a oltre duecento rover e scolte, raccontando l’esperienza del Sinodo e rispondendo ad alcune domande, diceva: «So benissimo che credere è una cosa complessa, so benissimo che abbiamo tutti tanti dubbi, ma la differenza radicale del credere è che una persona si mette in gioco, si fa provocare, si mette alla ricerca». La fede non piove addosso ad un certo punto della vita, anche perché la fede non è una cosa, la fede è come l’esistenza: è dinamica; risponde a quello che tu stai vivendo; vive le tue domande, le tue gioie, i tuoi dolori, gli scazzi, tutto quello che tu sei; perché la tua anima è con te.

Allora, cosa significa educare alla fede? Significa, anzitutto, avere la percezione che io come capo accetto la responsabilità di farmi carico che il ragazzo, la ragazza, il bambino, la bambina, chi ho davati mi è affidato perché io con onestà, con libertà, con coerenza e con gioia gli dica: «Vuoi vivere davvero? Vuoi vivere non a metà? Allora facciamo strada insieme. Fai la stessa strada che sto facendo io. Fai anche la fatica che sto facendo io. Mettiti dentro ai pensieri che sto facendo anch’io. Ti posso consegnare la mia esperienza, ti posso consegnare la mia onestà, ti posso consegnare la mia ricerca perché diventi anche tua».

Dunque, detto semplicemente, come si fa a cominciare un anno in cui c’è questa prospettiva di dare valore all’educare alla fede? Anzitutto recuperando il senso profondo che lo scautismo genera persone a tutto tondo, non persone a pezzi che si appiccicano l’una con l’altra ma persone a tutto tondo. A tutto tondo significa che io guardo e so come sono fatte: hanno un corpo, un’intelligenza, un’anima, dei pensieri, dei desideri, delle prospettive, sbagliano; così è una persona.

E allora mi sono venute in mente un sacco di cose. Mi veniva in mente un testo, molto bello e di tanto tempo fa, di Silvano Fausti – gesuita, uomo di Dio e uomo autentico – che in questo testo molto breve, Lettera a Sila – perché Sila è il modo latino per dire Silvano; lui ha scritto una lettera come se fosse stata scritta a lui – dice:

Ricordati che la fede, anche se è per tutti, non è mai un fenomeno di massa. Questa è una somma di individui, dove ognuno è per sé. Manipolabile a piacimento e sempre giocabile sull’interesse, non forma mai un popolo.
Il popolo di Dio invece è fatto da persone libere che hanno fatto esperienza del Signore.
La persona è tale per il suo rapporto unico e irrepetibile con lui: è suo partner. Incredibile dignità dell’uomo! … La fede è una relazione di appartenenza mutua, in cui l’uomo realizza la sua dimensione più profonda. Immagine del Dio amore, non solo ha bisogno di compagnia, ma è anche, e soprattutto, bisogno di «essere di» qualcuno. Chi è di nessuno, è del nulla. Non esiste!

Silvano Fausti, Lettera a Sila, 1991, p. 55

Domandiamoci quanta fatica facciamo noi a vivere in un mondo che sembra condannarci a non appartenere a niente e a nessuno perché ci consegna troppi orizzonti, perché continuamente ci dice: prendi questo, quest’altro, quast’altro ancora, però noi non apparteniamo mai a nessuno: non so di chi sono, non so di che è la mia vita.

Chi sia Dio non è frutto d’indrottinamento con cui si appiccicano e si mettono dentro idee nuove, anche buone, è amore personale per Gesù come risposta alla conosenza del suo amore per me, testimoniato dalla Parola della croce e questa Parola ha il potere di muovere il cuore e di consentire liberamente, a tempo e modo suo, affinché ognuno possa dire: questa vita io vivo nelle fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato sé stesso per me.

Educare alla fede non vuol dire parlare di Dio, educare alla fede cristiana vuol dire essersi confrontati con l’evento di Cristo e avere chiarito se questo evento mi dice qualcosa oppure no e smetterla di essere persone generiche che parlano a vanvera oppure parlano soltanto occasionalmente del Vangelo come sorgente d’insegnamenti morali che non interessano a nessuno. Noi non educhiamo, nel Vangelo, alla fede cristiana perché dobbiamo fare delle persone buone – buone nel senso che fanno delle cose belle, – noi indichiamo Gesù perché in quell’umanità noi vediamo delle cose che non vediamo altrove. Questa cosa richiede molta fatica, molta pazienza e molto coraggio. Senza questa cosa la fede diventa insignificante, diventa una cosa che non mi riguarda, diventa una cosa che non è mia, diventa una cosa sulla quale io non metto l’anima; un po’ come quando i ragazzi ti beccano che hai fatto un’attività in cui loro si sono divertiti tanto ma poi percepiscono che a te quella cosa non interessava, che non ci hai messo l’esistenza o, ancora peggio, che nel tuo modo di essere quelle cose lì non sono particolarmente rilevanti. Non è un rimprovero, è quello che dite a noi preti: perché ti vesti così e poi agisci in un altro modo? È vero. Perché mi vesto così e agisco in un altro modo? Perché tante volte la potenza di Gesù e la conoscenza di Gesù non sono sufficienti a rendermi coerente e allora mi accontento semplicemente d’indossare la mia uniforme, che però ha un valore molto relativo.

Io credo che, forse, l’esperienza di quest’anno sia quella di spogliarsi dell’uniforme, di spogliarsi di ciò che mi difende dai pensieri e dal desiderio di essere autentico e dire: ma dunque io m’ingaggio in questa cosa? Perché mi appassiona questa cosa? Perché mi metto davanti a chi cresce dicendogli: «Ho un bel modo di vivere da consegnarti, da indicarti»?

Educare alla fede è, dunque, un’esperienza che anzitutto prende me perché mi lascio educare alla fede, perché nella misura della mia vita io pongo dei gesti, delle parole, dei segni, delle decisioni che non mi fanno essere un po’ finto o impaurito o semplicemente adatto alla circorstanza – perché fingere o essere adatto alla circostanza non genera nulla. Se io devo fare una scelta devo avere la percezione di non avere via d’uscita – perdonate quest’espressione un po’ pesante. Le persone che ci affascinano sono quelle che non si lasciano delle strade secondarie a disposizione ed hai paura che perdano tutto, le persone che ci entusiasmano sono quelle che guardano il futuro vedendo qualcosa e buttandocisi dietro, ma non per stupidità, perché intuiscono che c’è un bene. Questa cosa vale anche per [?].

Io credo che forse uno dei frutti del Sinodo sui giovani è quello di pretendere e di esigere che il Vangelo venga spogliato di tutte le cose secondarie che gli abbiamo messo sopra e diventi sorgente di pensieri e di domande che ad ognuno di noi dicano: ma tu alla fine? È un libro di buoni consigli? È un po’ come digitare “frase mitica” su Google o è una cosa più seria? Dico questa cosa non perché voglio appensantire la vita di nessuno – non ho nessun diritto di buttare sulle spalle di nessuno dei pesi impraticabili – ma perché penso che il Vangelo sia molto più bello, molto più appassionante e molto più vero per l’umano di come, tante volte, noi lo riduciamo.

Mi permetto, allora, un altro piccolissimo brano, sempre di Fausti, che dice:

Ti troverai spesso tra gente che manca di tutto. … Inoltre la gente non chiederà da te la Parola, ma il pane e il vestito. …
Anche Gesù si è trovato a operare in situazioni simili. Tra l’altro aveva anche la possibilità di moltiplicare il pane sfamando tutti e di imporre le mani guarendo tutti!
Ma non sfruttò i suoi doni in tale senso. Moltiplicò il pane; ma come segno di un altro nutrimento, che è il dono di sé che farà sulla croce. E fuggì da chi credeva di aver trovato in lui la fonte del suo cibo (Gv 6, 15). …
Gesù ha saputo non cedere alle attese errate dei suoi. L’uomo da sempre confonde salvezza con salute!
Educò invece la loro domanda, perché gli chiedessero ciò che era venuto a portare. E non temette il rifiuto. Anzi, fu proprio rifiutato per il suo rifiuto di rispondere alle attese comuni. Deluse tutti, e tutti sfogarono su di lui la loro rabbia e amarezza.
Guardati dal falso spiritualismo, al quale non importa il pane e la libertà del povero.
Ma guardati anche dal materialismo. Sappi che il vero cibo dell’uomo è fare la volontà di Dio (Gv 4, 34), e la sua libertà quella di essere figlio.

S. Fausti, op. cit.

Noi possiamo far cadere queste parole dentro di noi. Non ve le sto dicendo perché le so già, non ve le sto dicendo perché le vivo già tutte, non ve le sto dicendo perché il prete è il cristiano perfetto. Non esiste il cristiano perfetto, esistono uomini e donne che puntando il loro sguardo su Gesù intuiscono un modo vero e autentico di vivere la loro umanità, percepiscono contraddizioni, fatiche, peccati, scivoloni, percepiscono tentazioni ma non possono fare a meno di quel volto perché senza quel volto svanirebbe anche Dio. Io non mi permetto di parlare di Dio perché di Dio non so niente, tranne quello che mi ha detto Gesù, poche cose, semplici, e queste cerco di raccontare.

Io credo che se quest’anno si parte per un percorso di educazione alla fede, ognuno di noi deve avere l’umiltà di riguardare in volto Gesù e dire: ma io che cosa so di te? Quanto ho letto del Vangelo? Che cosa il Vangelo mi ha raccontatto? In che cosa mi ha scandalizzato? Per che cosa mi sono ribellato? Per che cosa desidero mollarti perché mi scassi la vita e vorrei vivere più comodo? Ricordatevi quel brano meraviglioso di Giovanni dove Gesù fa dei discorsi troppo faticosi e molti lo lasciano, lui si volta verso i suoi amici, quelli più vicini, gli apostoli, e dice: «Volete andarvene anche voi?» e Pietro gli risponde dicendo: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» – possiamo tradurre autentica? – Tu solo hai parole di vita che non ingannano, Tu solo non cerchi di vendermi qualcosa, Tu solo non mi dici: «Ma no! In fondo la vita è una passeggiata», Tu solo non mi dici: «Fatti largo a gomitate», Tu solo non mi dici un sacco di vaccate che mi riempono la testa ma non mi rendono me stesso.

Io penso che se volete iniziare un percorso di educazione alla fede, bisogna rimettersi umilmente dietro a Gesù; non so cosa voglia dire questa cosa, non certo una cosa intellettuale ma una cosa affettiva – cioè che riguarda la profondità di me stesso così come io sono. I discepoli sono stati chiamati in talmente tante circostanze; i santi, che consideriamo cristiani esemplari, sono stati chiamati in talmente tante circostanze, in luoghi che nessuno si sarebbe immaginito. La Parola capovolge perché non è una parole come le altre.

Se posso rivolgervi una sorta d’invito per questo cammino è quello di renderlo molto semplice e di partire dal desiderio di cercare. Uno può anche arrivare alla fine e dire: io ho cercato ma Gesù non mi convince, quel modo di essere uomo non mi convince, io ho bisogno di altro; ma devi metterlo alla prova il Vangelo e devi entrarci dentro, non puoi permetteri di giudicarlo formalmente o semplicemente per sentito dire perché ognuno di noi è chiamato ad essere una persona intera, così com’è, con le sue virtù, le sue doti, i suoi limiti, le sue fatiche, cercando con tutte le proprie forze di essere uomini e donne veri. Se trovate qualcun altro che indica un’umanità vera, seguitelo e mettevi lì dove potete educare altre persone a seguire quest’autenticità. Ma se siete nel solco dei discepoli di Gesù abbiate l’umità di seguire questo sentiero; non sappiamo dove ci porta, non sappiamo com’è, è faticoso, è difficile, a volte ti consuma. Perché il mondo in cui viviamo non ci educa a questo, siamo spesso distratti, ci stufiamo facilmente, ci annoiamo, non siamo abituati a restare su una cosa, ci sembra subito che diventi vecchia e intanto divtiamo vecchi noi e non siamo capici di percepire questo invito alla novità.

C’è una pagina bellissima del libro dell’Apocalisse dove alla fine Colui che viene, Gesù, dice:

Ecco, io faccio nuove tutte le cose.

Apocalisse 21, 5

È meravigliosa questa cosa perché quello che cerchiamo è che le cose non invecchino, che non mi annoino, che non mi stufino: io faccio nuove tutte le cose perché te le faccio vedere per quello che sono, non per come le consumi, Io faccio nuove tutte le cose. Ecco perché si può essere fedeli, perché Lui fa nuove tutte le cose, se no non puoi essere fedele a niente ma devi essere uno che salta da una cosa all’altra tentando di salvarti la vita e poi, come diceva mons. Delpini la settima scorsa, alla fine muori; perché – citando l’arcivescovo – «ci sono due modi di vivere: io nasco per morire» punto, in mezzo posso fare quello che mi pare però nasco per morire; oppure «io nasco per un’altra cosa» e questa cosa mi viene annunciata da Gesù Cristo però la devo ascoltare.

Concludo con due righe di Enzo Bianchi tratte da un testo molto bello:

Il primo mezzo di evangelizzazione resta la testimonianza quotidiana di una vita autenticamente cristiana, una vita fedele al Signore Gesù, una vita segnata da libertà, gratuità, giustizia, condivisione, pace, una vita giustificata dalle ragioni della speranza. … Quale segno più grande di una vita abitata dalla carità, dal fare il bene, dall’amore gratuito che giunge ad abbracciare anche il nemico, una vita di servizio tra gli uomini, soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime della storia?»

Enzo Bianchi, La differenza cristiana, 2006

Io credo che Gesù Cristo, quella che chiamiamo fede cristiana – che non è un oggetto ma è un’esperienza – sia questa cosa qui, solo che per arrivarci, per entrare in questa cosa, ci vuole molta pazienza e molta umiltà e questa cosa dobbiamo chiderla.

Chiudo con un preghiera che dice:

Signore, illuminami e guidami
nella fede, nella speranza e nella carità

La strada che Tu hai percorso sia da me seguita.
Tutto ciò che Tu ami sia da me amato.
Tu, Luce, illumina le mie tenebre.
Tu, Forza, sorreggi la mia debolezza

I miei occhi siano i tuoi occhi,
le mie mani siano le tue mani,
le mie spalle siano le tue

Il mio cuore sia il tuo cuore,
affinché i fratelli,
tramite la mia umile e fedele presenza,
possano incontrare Te
e, nella fede, vederti e amarti.

Signore, prendimi come sono
e fammi come Tu mi vuoi.


L’articolo riproduce l’intervento di don Enrico Parazzoli, assistente ecclesiastico regionale di Branca R/S per la Lombardia, svolto in occasione dell’Assemblea di Zona del 11 novembre 2018.

Revisione a cura di Davide Perrone. Fotografia di Grant Whitty su Unsplash.